domenica 12 agosto 2018

Da Rossinelli a Overmars




Da Rossinelli a Overmars corrono ventitré anni, in parte i più belli finora di sempre. La cessione del primo provocò la contestazione di piazza contro il presidente Lolli Ghetti, impiccato in effigie a Ponte Monumentale. L'ala olandese, invece, sarebbe stata usata da Ventura quale emblema dell'insoddisfazione, utile a fiorire in alibi, per un mercato che pure lo aveva visto in tutto o quasi – compreso Vasari a 7 miliardi – accontentato dalla società.
Se con i Mantovani era impossibile o quasi per gli allenatori lamentarsi delle strategie societarie di mercato, la storia precedente e successiva del club è anche cadenzata di dissidi tra proprietà e dirigenza da una parte e guida tecnica dall'altra. La parte conclusiva del quinquennio novelliniano fu costellata di recriminazioni su mancati acquisti e cessioni inopinate, con l'apice della Champions sfiorata con un attacco formato da Rossini e Inzaghi; non andò meglio con Mazzarri, destinato a iconizzare il borbottio per i mancati ingaggi non già di David Luiz e di Kroos ma di Aronica e Buscé.
Questo per dire che l'arringa post-Viterbese di Giampaolo, una manovra al tempo stesso difensiva e di attacco, poco sorprende chi sia pratico di storia patria. Piuttosto urge rilevare come possa parlarsi di «incompletezza» dell'organico in relazione ad eventuali obiettivi societari programmati, sui quali gli esponenti di vertice svariano in una dissonanza che crea confusione: si va infatti dall'ipotesi Champions a quella dell'acquisto di altri club.
Chiarezza vorrebbe chiarezza. Qualora si dica “puntiamo a far profitti restando in A senza triboli, per continuare a far mercato sullo scenario più redditizio”, nessuna obiezione. Parlar d'altro rischia di ingenerare confusione, false aspettative, malcontento infondato.
Vero è che al terzo ritiro estivo nel Doria, Giampaolo difficilmente può ignorare le regole della casa, che vedono nel mercato uno strumento prioritariamente lucrativo, fondato sul continuo riassortimento degli scaffali di uno show room allestito negli anni scorsi con indubbia abilità da un dirigente, Pecini, troppo lodato perché la sua perdita risulti del tutto indolore. L'arrivo di Sabatini non ha infatti finora prodotto conseguenze significative, ma neppure il miglior dirigente non d'Italia ma del pianeta potrebbe far prodigi insediandosi ufficialmente a luglio, quando i giochi, almeno quelli grossi, dovrebbero esser già fatti.
Le sempre più ricorrenti sortite polemiche del tecnico sembrano delineare uno scenario sdrucciolevole e ambiguo. Una parte della tifoseria e della critica riconosce al tecnico il grande lavoro di valorizzazione di una rosa non eccelsa e di alcuni singoli infatti rivenduti a una valutazione molto più alta di quella in entrata. Altri invece addebitano al mister non solo una presunta monotonia tattica, ma alcune scelte di mercato assai discusse dai sostenitori, specie le rinunce a Viviano, Silvestre e Zapata. Curiosa pare questa dinamica, per cui il tecnico metterebbe bocca nel mercato solo per determinare mosse impopolari.
In questo scenario nevrile, i contrasti in essere tra le componenti societaria e tecnica potrebbero tradursi in una nascosta partita a scacchi, tra la tentazione di indurre le dimissioni anziché un più oneroso esonero e la contrapposta resistenza passiva di un allenatore che peraltro più volte in carriera ha tolto il disturbo nel venir meno delle condizioni ideali di lavoro.

Chissà se i «tre, quattro giocatori» tra cui il sostituto di Torreira «che da sei mesi si doveva cercare» arriveranno prima della fine del mercato. Di certo anche quest'anno la Sampdoria si avvia al campionato non senza attriti e polemiche, premesse che peraltro hanno sempre condotto a ottime stagioni. Meglio, tutto sommato, una dialettica a viso scoperto utile a fare chiarezza, che una finta armonia di facciata destinata a lasciare strascichi nell'eventuale deflagrare.

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