Da
Rossinelli a Overmars corrono ventitré anni, in parte i più belli
finora di sempre. La cessione del primo provocò la contestazione di
piazza contro il presidente Lolli Ghetti, impiccato in effigie a
Ponte Monumentale. L'ala olandese, invece, sarebbe stata usata da
Ventura quale emblema dell'insoddisfazione, utile a fiorire in alibi,
per un mercato che pure lo aveva visto in tutto o quasi – compreso
Vasari a 7 miliardi – accontentato dalla società.
Se
con i Mantovani era impossibile o quasi per gli allenatori lamentarsi
delle strategie societarie di mercato, la storia precedente e
successiva del club è anche cadenzata di dissidi tra proprietà e
dirigenza da una parte e guida tecnica dall'altra. La parte
conclusiva del quinquennio novelliniano fu costellata di
recriminazioni su mancati acquisti e cessioni inopinate, con l'apice
della Champions sfiorata con un attacco formato da Rossini e Inzaghi;
non andò meglio con Mazzarri, destinato a iconizzare il borbottio
per i mancati ingaggi non già di David Luiz e di Kroos ma di Aronica
e Buscé.
Questo
per dire che l'arringa post-Viterbese di Giampaolo, una manovra al
tempo stesso difensiva e di attacco, poco sorprende chi sia pratico
di storia patria. Piuttosto urge rilevare come possa parlarsi di
«incompletezza» dell'organico in relazione ad eventuali obiettivi
societari programmati, sui quali gli esponenti di vertice svariano in
una dissonanza che crea confusione: si va infatti dall'ipotesi
Champions a quella dell'acquisto di altri club.
Chiarezza
vorrebbe chiarezza. Qualora si dica “puntiamo a far profitti
restando in A senza triboli, per continuare a far mercato sullo
scenario più redditizio”, nessuna obiezione. Parlar d'altro
rischia di ingenerare confusione, false aspettative, malcontento
infondato.
Vero
è che al terzo ritiro estivo nel Doria, Giampaolo difficilmente può
ignorare le regole della casa, che vedono nel mercato uno strumento
prioritariamente lucrativo, fondato sul continuo riassortimento degli
scaffali di uno show room allestito negli anni scorsi con indubbia
abilità da un dirigente, Pecini, troppo lodato perché la sua
perdita risulti del tutto indolore. L'arrivo di Sabatini non ha
infatti finora prodotto conseguenze significative, ma neppure il
miglior dirigente non d'Italia ma del pianeta potrebbe far prodigi
insediandosi ufficialmente a luglio, quando i giochi, almeno quelli
grossi, dovrebbero esser già fatti.
Le
sempre più ricorrenti sortite polemiche del tecnico sembrano
delineare uno scenario sdrucciolevole e ambiguo. Una parte della
tifoseria e della critica riconosce al tecnico il grande lavoro di
valorizzazione di una rosa non eccelsa e di alcuni singoli infatti
rivenduti a una valutazione molto più alta di quella in entrata.
Altri invece addebitano al mister non solo una presunta monotonia
tattica, ma alcune scelte di mercato assai discusse dai sostenitori,
specie le rinunce a Viviano, Silvestre e Zapata. Curiosa pare questa
dinamica, per cui il tecnico metterebbe bocca nel mercato solo per
determinare mosse impopolari.
In
questo scenario nevrile, i contrasti in essere tra le componenti
societaria e tecnica potrebbero tradursi in una nascosta partita a
scacchi, tra la tentazione di indurre le dimissioni anziché un più
oneroso esonero e la contrapposta resistenza passiva di un allenatore
che peraltro più volte in carriera ha tolto il disturbo nel venir
meno delle condizioni ideali di lavoro.
Chissà
se i «tre, quattro giocatori» tra cui il sostituto di Torreira «che
da sei mesi si doveva cercare» arriveranno prima della fine del
mercato. Di certo anche quest'anno la Sampdoria si avvia al campionato non senza attriti e polemiche, premesse che peraltro
hanno sempre condotto a ottime stagioni. Meglio, tutto sommato, una
dialettica a viso scoperto utile a fare chiarezza, che una finta
armonia di facciata destinata a lasciare strascichi nell'eventuale
deflagrare.
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