mercoledì 29 agosto 2018

La cattiveria della bontà



Schivo col maggior garbo possibile, non sempre riuscendoci (nel garbo, non nello schivare), gli emissari in pettorina delle associazioni umanitarie che infestano le città chiedendo soldi ai passanti. Anche perché non tutte queste associazioni operano nella massima trasparenza, alcune di loro poi servono soprattutto a far fare bella figura ai loro fondatori.
Sistematicamente mi sottraggo a tutte le collette benefiche, attivate via telefono o bonifico o acquisto di gadget o biglietti per eventi sportivi, quale che ne sia la causale.
Agisco così perché so perfettamente di vivere in uno Stato dove il prelievo fiscale sui cittadini è opprimente e insiste su ogni aspetto dell'esistenza di ognuno: mentre sto scrivendo questo testo, uso energia elettrica e lo diffonderò sul web usando una linea telefonica. Nel prezzo e nel costo di entrambi i passaggi è prevista un'incidenza tributaria. Finito di scrivere, mi alzo e vado in cucina a bere un bicchiere di acqua del rubinetto? Anche in questo caso il fisco vuole la sua parte. Se poi prendo una bevanda o del cibo dal frigo, si tratta di alimenti su cui ho pagato l'IVA alla cassa del supermercato. Mi trovo in un appartamento dove per abitarci sarei tassato a qualsiasi titolo di presenza, che sia inquilino pagante un canone di affitto oppure proprietario. Prima di sedermi a scrivere avevo portato il sacchetto della rumenta quotidiana nel cassonetto poco distante dal portone e anche questo servizio ha un costo tassato.
Insomma, l'invadenza del fisco nella mia vita, come in quella di ognuno, non consiste soltanto nella trattenuta mensile automatica sullo stipendio o sul sussidio di disoccupazione, sui quali dovrò comunque presentare una dichiarazione annuale con l'ausilio di un commercialista che andrà pagato. Se mi guardo attorno, sono circondato da libri e dischi sui quali all'atto dell'acquisto ho pagato l'IVA, così come sugli indumenti che sto indossando e gli occhiali che porto sul naso.
Insomma, con tutto quello che lo Stato mi prende in maniera quasi inavvertibile, a me come a tutti gli altri o quasi, credo che il suddetto Stato dovrebbe disporre di risorse sufficienti per fronteggiare le incombenze ordinarie come quelle straordinarie, comprese appunto quelle cause che ormai siamo abituati a veder delegate al volontariato contributivo, con i cittadini che si autotassano di propria iniziativa per finanziare la ricerca scientifica su una serie di malattie, il soccorso alle popolazioni colpite da catastrofi naturali, i Paesi sottosviluppati e naturalmente la macchina di gestione delle migrazioni internazionali.
Non trovo giusto che un contribuente in regola sia pertanto chiamato - magari anche in buona fede, magari anche su base spontaneistica dal basso – a surrogare in proprio lo Stato, a cui ha già versato e versa parte non irrisoria del proprio reddito e del proprio patrimonio.
Chi promuove e partecipa a queste raccolte di denaro è sicuramente – almeno voglio crederlo - animato da buona fede e intenzioni ottime, ma la conseguenza del suo altruismo è di fatto un esonero anche minimo dello Stato dai suoi compiti primari. Che invece deve svolgere fino in fondo. Fino all'ultimo centesimo del ricavato del gettito tributario.
Per assurdo, più cospicua è la massa delle contribuzioni filantropiche volontarie da parte dei cittadini, più lo Stato è deresponsabilizzato dal fare lo Stato.
Non intendo aderire a tesi estreme che circolano negli ultimi tempi, come quella di chi dice «chi vuole i migranti se li paghi, sui moduli fiscali ci sia una casella tipo quella dell'otto per mille, dove si espliciti il favore o il disfavore personale verso la politica dell'accoglienza generalizzata, con la conseguenza che i costi della medesima sarebbero ripartiti tra i soli favorevoli». Sarebbe una variante più sottile, forse ironica, del «prenditene uno a casa tua», ma in tutta evidenza inapplicabile. È soltanto polemico folklore.
Ma la messa fuori gioco di queste tesi estreme non implica l'adesione a quello che spesso si delinea come un ricatto morale: se non partecipi alla raccolta, se non mandi il SMS, se non compri la maglietta, sotto sotto sei colpevole anche un po' tu del crollo del ponte, o del terremoto abruzzese, o dei naufragi nel canale di Sicilia, o dell'incurabilità di questa o quella malattia.

Io, cittadino, la mia parte la faccio pagando tasse in una percentuale e in una proporzione che in Occidente ormai non ha eguali: il mio compito di cittadino finisce qui, alla colletta ho già partecipato e lo Stato ha, dovrebbe avere fondi sufficienti per tutto quel che riguarda i suoi compiti, ordinari come emergenziali. Se non li ha, dopo tutto quel che mi ha preso, non può bussare, o far bussare, di nuovo alla mia porta.

Nessun commento:

Posta un commento