Schivo
col maggior garbo possibile, non sempre riuscendoci (nel garbo, non
nello schivare), gli emissari in pettorina delle associazioni
umanitarie che infestano le città chiedendo soldi ai passanti. Anche
perché non tutte queste associazioni operano nella massima
trasparenza, alcune di loro poi servono soprattutto a far fare bella
figura ai loro fondatori.
Sistematicamente
mi sottraggo a tutte le collette benefiche, attivate via telefono o
bonifico o acquisto di gadget o biglietti per eventi sportivi, quale
che ne sia la causale.
Agisco
così perché so perfettamente di vivere in uno Stato dove il
prelievo fiscale sui cittadini è opprimente e insiste su ogni
aspetto dell'esistenza di ognuno: mentre sto scrivendo questo testo,
uso energia elettrica e lo diffonderò sul web usando una linea
telefonica. Nel prezzo e nel costo di entrambi i passaggi è prevista
un'incidenza tributaria. Finito di scrivere, mi alzo e vado in cucina
a bere un bicchiere di acqua del rubinetto? Anche in questo caso il
fisco vuole la sua parte. Se poi prendo una bevanda o del cibo dal
frigo, si tratta di alimenti su cui ho pagato l'IVA alla cassa del
supermercato. Mi trovo in un appartamento dove per abitarci sarei
tassato a qualsiasi titolo di presenza, che sia inquilino pagante un
canone di affitto oppure proprietario. Prima di sedermi a scrivere
avevo portato il sacchetto della rumenta quotidiana nel cassonetto
poco distante dal portone e anche questo servizio ha un costo
tassato.
Insomma,
l'invadenza del fisco nella mia vita, come in quella di ognuno, non
consiste soltanto nella trattenuta mensile automatica sullo stipendio
o sul sussidio di disoccupazione, sui quali dovrò comunque
presentare una dichiarazione annuale con l'ausilio di un
commercialista che andrà pagato. Se mi guardo attorno, sono
circondato da libri e dischi sui quali all'atto dell'acquisto ho
pagato l'IVA, così come sugli indumenti che sto indossando e gli
occhiali che porto sul naso.
Insomma,
con tutto quello che lo Stato mi prende in maniera quasi
inavvertibile, a me come a tutti gli altri o quasi, credo che il
suddetto Stato dovrebbe disporre di risorse sufficienti per
fronteggiare le incombenze ordinarie come quelle straordinarie,
comprese appunto quelle cause che ormai siamo abituati a veder
delegate al volontariato contributivo, con i cittadini che si
autotassano di propria iniziativa per finanziare la ricerca
scientifica su una serie di malattie, il soccorso alle popolazioni
colpite da catastrofi naturali, i Paesi sottosviluppati e
naturalmente la macchina di gestione delle migrazioni internazionali.
Non
trovo giusto che un contribuente in regola sia pertanto chiamato -
magari anche in buona fede, magari anche su base spontaneistica dal
basso – a surrogare in proprio lo Stato, a cui ha già versato e
versa parte non irrisoria del proprio reddito e del proprio
patrimonio.
Chi
promuove e partecipa a queste raccolte di denaro è sicuramente –
almeno voglio crederlo - animato da buona fede e intenzioni ottime,
ma la conseguenza del suo altruismo è di fatto un esonero anche
minimo dello Stato dai suoi compiti primari. Che invece deve svolgere
fino in fondo. Fino all'ultimo centesimo del ricavato del gettito
tributario.
Per
assurdo, più cospicua è la massa delle contribuzioni filantropiche
volontarie da parte dei cittadini, più lo Stato è
deresponsabilizzato dal fare lo Stato.
Non
intendo aderire a tesi estreme che circolano negli ultimi tempi, come
quella di chi dice «chi vuole i migranti se li paghi, sui moduli
fiscali ci sia una casella tipo quella dell'otto per mille, dove si
espliciti il favore o il disfavore personale verso la politica
dell'accoglienza generalizzata, con la conseguenza che i costi della
medesima sarebbero ripartiti tra i soli favorevoli». Sarebbe una
variante più sottile, forse ironica, del «prenditene uno a casa
tua», ma in tutta evidenza inapplicabile. È soltanto polemico
folklore.
Ma
la messa fuori gioco di queste tesi estreme non implica l'adesione a
quello che spesso si delinea come un ricatto morale: se non partecipi
alla raccolta, se non mandi il SMS, se non compri la maglietta, sotto
sotto sei colpevole anche un po' tu del crollo del ponte, o del
terremoto abruzzese, o dei naufragi nel canale di Sicilia, o
dell'incurabilità di questa o quella malattia.
Io,
cittadino, la mia parte la faccio pagando tasse in una percentuale e
in una proporzione che in Occidente ormai non ha eguali: il mio
compito di cittadino finisce qui, alla colletta ho già partecipato e
lo Stato ha, dovrebbe avere fondi sufficienti per tutto quel che
riguarda i suoi compiti, ordinari come emergenziali. Se non li ha,
dopo tutto quel che mi ha preso, non può bussare, o far bussare, di
nuovo alla mia porta.
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