Tra
le molte cose che devo al carissimo amico Paolo Bertuccio, uno dei
migliori se non il migliore, massì il miglior giovane collega che
abbia fatto in tempo a incrociare prima del naufragio del sottomarino
giallo, c'è una battuta a suo modo geniale: «Bergoglio è come
Zeman, piace soprattutto ai tifosi delle squadre avversarie».
Una
battuta che nasconde un fondo di verità amara. Nessun Papa come
Bergoglio, infatti, è stato capace di raccogliere consensi in quel
mondo intellettuale e politico, specialmente italiano, che fino alla
sua elezione aveva sempre combattuto aspramente non tanto le figure e
le opere concrete dei predecessori, quanto la stessa istituzione
della Chiesa e in ultimo l'idea medesima di cattolicesimo. Gli stessi
direttori, scrittori, registi, editorialisti, cantanti, attori e
militanti di partito - uniti nel conformismo del pensiero unico
politicamente corretto laico laicista e anticlericale – che per
decenni avevano inscenato una campagna di sradicamento del
cristianesimo, adesso esultano plaudenti a quasi tutte le prese di
posizione pubbliche del pontefice argentino, passando sotto silenzio
quelle poche affermazioni – solitamente in tema di bioetica e
morale familiare – dissonanti dal loro sentire.
Ora
succede che un altissimo prelato di Curia, già nunzio apostolico
negli USA, muove al Papa pesantissime accuse di aver insabbiato e
coperto squallide vicende di abusi sessuali perpetrati da uomini di
Chiesa. In altri tempi, sarebbe stato la madre di tutti i piatti
ricchi, in cui si sarebbero ficcati i micromeghisti e i radicali, i
ventisettembrini e gli antiottopermille, i frammassoni e gli
scalfariani, i pamphlettisti dello scandalismo, i compilatori di
dossier anonimi, gli autori e produttori e distributori di opere di
larghissima popolarità e diffusione come “Il caso Spotlight” e
“Magdalene”, destinati a vendemmiare Oscar e Leoni d'Oro.
Può
darsi che prima o poi lo facciano. Per ora, invece, stavolta, niente.
Neppure di fronte alla reazione cauta e difensiva - una volta si
sarebbe detta andreottiana - del Papa che di fatto oppone un “No
comment” ai gravissimi rilievi, i vecchi e collaudati incursori di
un anticristianesimo travestito da anticlericalismo (allo stesso modo
in cui l'antisemitismo spesso si camuffa da critica alla politica
dello Stato di Israele), sempre pronti ad azzannare “pastori
tedeschi” e consimili, si lanciano almeno nell'atto dovuto di una
richiesta di verità. Anzi fanno di peggio: su quasi tutti i giornali
italiani di stamattina viene preliminarmente screditata la figura
dell'accusatore, secondo una tecnica che richiama metodi poco
commendevoli.
Il
messaggio che passa, neppure troppo subliminalmente, è il seguente:
questo monsignore parla così per motivazioni personali miserabili,
per vendicarsi di una promozione attesa e invece sfumata, per
antipatia personale verso il Papa e la sua cerchia, perché è un
tradizionalista e non gli va giù come Bergoglio stia trasformando la
Chiesa.
Nessun
accenno a quella che dovrebbe essere la cosa più importante: se le
cose che l'accusatore del Papa dice siano vere o false.
Questa
dovrebbe essere la priorità.
Quando
un “pentito” di mafia tirava in ballo questo o quel politico, non
ci si chiedeva mai se fosse sincero, o se piuttosto non lo facesse
per avere qualcosa in cambio dai pm desiderosi di incastrare un pezzo
grosso, magari un avversario politico. Quando una signora milanese
aveva dato in pasto alla stampa e ai magistrati le foto vacanziere e
i retroscena della corte di Berlusconi, nessuno osò insinuare che
tanto sdegno civile non fosse completamente genuino, radicandosi
invece anche nelle evoluzioni della vita privata della signora in
relazione al rapporto con un alto dignitario berlusconiano.
Stavolta
si torna al copione della delegittimazione personale preventiva
dell'accusatore, per incenerirne la credibilità. Non ci si focalizza
sul contenuto delle sue accuse. Spiace per molti motivi tracciare
questo paragone, ma sembra tornato in auge lo stesso metodo
utilizzato a partire dall'estate di trent'anni fa per demolire non
tanto le sue accuse, ma la persona stessa di Leonardo Marino, che
aveva innescato con la sua confessione il processo per l'omicidio del
commissario Calabresi.
E
allora è naturale domandarsi perché la formidabile macchina
mediatica dell'anticattolicesimo e dell'anticlericalismo, una
macchina che ha validamente contribuito alla quasi completa
scristianizzazione dell'Italia, stavolta si sia inceppata, taccia o
parli di malavoglia, e se parla lo fa in modo ambiguo, non per
chiedere solennemente conto al Pontefice se sia vero che egli abbia
coperto abusi odiosi, con il conseguente obbligo di dimissioni, ma
per denigrare il suo accusatore tacciandolo di meschinità e
carrierismo frustrato. Forse perché, appunto, ha ragione il mio caro
amico Paolo.
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