Subito
ho pensato all'effetto Dazn, ovvero che si trattasse della partita di
Udine dello scorso anno. Invece era la nuova Sampdoria, che già si
era dimostrata poco marziale con la Viterbese Castrense e che al
Friuli ha perso contro una squadra – segnàtevelo – destinata a
lottare per la salvezza.
Stavo
per scrivere «destinata anche lei», ma poi mi sono trattenuto,
perché credo comunque che il Doria possa ripetere uno qualsiasi dei
campionati successivi al ritorno in A, tolti quelli in positivo della
qualificazione Uefa firmata Sinisa e in negativo della quasi
retrocessione ad opera di Zenga-Montella.
Campionati
anonimi, con qualche sperabile soddisfazione di passaggio come le
vittorie sui club di alta classifica o i derbies, ma senza reali
prospettive di miglioramento agonistico: destino necessario quando
l'orizzonte si articola da mercato a mercato, sempre nella
prospettiva di cedere chiunque si sia distinto, quindi di
indebolirsi.
Secondo
una lettura superficiale, Udine avrebbe confermato alcune difficoltà
strutturali della Sampdoria giampaolina.
Prima
obiezione: il modulo. Ma se la squadra ha fatto male nel primo tempo
e bene nel secondo, non c'entra il modulo che era lo stesso. Certo, a
Udine la Sampdoria sembrava Olivia Newton John in “Grease”, per
quasi tutto il film timida collegiale col cerchietto tra i capelli e
vestitino a fiori, negli ultimi 5 minuti panterona fasciata in latex
nero. Il problema è che l'Udinese è stata lo stesso John Travolta
per tutta la partita.
Seconda
obiezione: la formazione iniziale sbagliata.
Ma
a nessuno viene il dubbio che i giocatori subentrati nel finale
abbiano fatto più bella figura di chi li ha preceduti anche perché
erano più freschi di avversari che giocavano da più di un'ora, e
un'ora ad agosto?
Inoltre
non è che nel finale siano entrati Iniesta e Modric, ma Ekdal e
Saponara, cioè due giocatori che in Italia il massimo in carriera lo
hanno dato con le maglie di Cagliari ed Empoli, senza riuscire a fare
il salto di qualità se provati al livello di Juventus e Milan.
Insomma due giocatori congrui a quel che si dice «la nostra
dimensione».
Ma
se «la nostra dimensione» è ridiventata ormai stabilmente quella
di una squadretta che a null'altro di agonistico punta che a
vivacchiare in serie A, perché al rassegnato mantra «la nostra
dimensione» dovrebbe sfuggire il profilo del tecnico?
Ammettiamo
pure che Giampaolo sia un mediocre, ma se davvero lo fosse sarebbe
perfetto per la mediocrità che la Sampdoria, di là dalle frasi a
effetto, si è data come obiettivo di classifica. Non si spera più
in nient'altro che non sia il mero esistere, anzi è severamente
sconsigliato farlo: e per gestire questo tran-tran si pretenderebbe
un Guardiola, un Mourinho?
Terza
obiezione: la Sampdoria di Giampaolo è fallimentare in trasferta.
Obiezione emotiva, rispetto alla quale occorre far parlare i numeri.
E
i numeri dicono che, dal ritorno in A del 2012, tolto l'anno di
Mihajlovic chiuso con l'arrivo in Europa League, quando i punti in
trasferta erano stati 25 (6 vittorie, 7 pari e 6 sconfitte), più o
meno tutte le altre Sampdorie lontano da Marassi hanno sempre
raccolto gli stessi punti:
16
con Ferrara-Rossi (3V-7N-9P)
19
con Rossi-Mihajlovic (5V-4N-10P)
12
con Zenga-Montella (2V-6N-11P)
18
e 15 nei due tornei fin qui gestiti da Giampaolo (4V-6N-9P nel 16/17,
4V-3N-12P nel 17/18).
Eccettuando
sempre la stagione sinisiana, modesto lo scostamento anche nei punti
totali e nei piazzamenti finali:
14ª
con 42 punti nel 2013
12ª
con 45 punti nel 2014,
7ª
con 56 punti nel 2015
15ª
con 40 punti nel 2016
10ª
con 48 punti nel 2017
10ª
con 54 punti lo scorso anno.
Il
tutto partendo da una formazione titolare che, al momento del ritorno
in A nel 2012, era la seguente: Romero, De Silvestri, Gastaldello,
Mustafi, Costa, Poli, Obiang, Renan, Soriano, Eder, Icardi. Era più
debole questa squadra di quella vista stasera a Udine?
Inoltre,
sempre al momento del ritorno in A, in panchina c'era gente con cui
ci si potrebbe divertire a comporre una squadra verisimilmente meno
forte, ma non saprei quanto meno, di quella attuale. Eccola: Da
Costa, Rodriguez, Rossini, Castellini, Berardi; Munari, Maresca,
Palombo (Krsticic); Tissone; Pozzi, Maxi Lopez (Sansone).
Da
questo bisogna partire, questo bisogna tenere a mente, per valutare
il presente. Da quando è arrivato ad allenare la Sampdoria, partendo
da una squadra che si era salvata alla penultima giornata perdendo un
derby 0-3, finora Giampaolo ha sempre progredito pur vedendo via via
partire giocatori come De Silvestri, Correa, Fernando, Soriano,
Moisander, Skriniar, Fernandes, Muriel e Schick fino a Torreira, i
cui sostituti non sono quasi mai stati alla loro altezza.
Se
c'è una colpa che si può fare a Giampaolo, è quella di aver
privato i tifosi dell'emozione profonda di tre anni fa, quando
appunto la squadra aveva lottato per la salvezza per tutto il
campionato.
Con
lui ci si è messi al sicuro per due volte quasi con un girone di
anticipo. E con due squadre non molto più forti del suo Empoli che
giocava con Skorupski, Zambelli, Tonelli, Barba, Mario Rui;
Zielinski, Paredes, Croce; Saponara; Maccarone, Pucciarelli.
L'Empoli.
Se
lo si lascerà lavorare alle sue condizioni, sarà così anche
stavolta.
Cercare
invece il più facile dei capri espiatori, per un non improbabile
avvio in salita della stagione che dopo il Napoli in casa prevede la
trasferta a Frosinone e l'Inter a Marassi sarebbe un peccato, ancor
prima che un rischio.
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