domenica 26 agosto 2018

La nostra dimensione



Subito ho pensato all'effetto Dazn, ovvero che si trattasse della partita di Udine dello scorso anno. Invece era la nuova Sampdoria, che già si era dimostrata poco marziale con la Viterbese Castrense e che al Friuli ha perso contro una squadra – segnàtevelo – destinata a lottare per la salvezza.
Stavo per scrivere «destinata anche lei», ma poi mi sono trattenuto, perché credo comunque che il Doria possa ripetere uno qualsiasi dei campionati successivi al ritorno in A, tolti quelli in positivo della qualificazione Uefa firmata Sinisa e in negativo della quasi retrocessione ad opera di Zenga-Montella.
Campionati anonimi, con qualche sperabile soddisfazione di passaggio come le vittorie sui club di alta classifica o i derbies, ma senza reali prospettive di miglioramento agonistico: destino necessario quando l'orizzonte si articola da mercato a mercato, sempre nella prospettiva di cedere chiunque si sia distinto, quindi di indebolirsi.
Secondo una lettura superficiale, Udine avrebbe confermato alcune difficoltà strutturali della Sampdoria giampaolina.
Prima obiezione: il modulo. Ma se la squadra ha fatto male nel primo tempo e bene nel secondo, non c'entra il modulo che era lo stesso. Certo, a Udine la Sampdoria sembrava Olivia Newton John in “Grease”, per quasi tutto il film timida collegiale col cerchietto tra i capelli e vestitino a fiori, negli ultimi 5 minuti panterona fasciata in latex nero. Il problema è che l'Udinese è stata lo stesso John Travolta per tutta la partita.
Seconda obiezione: la formazione iniziale sbagliata.
Ma a nessuno viene il dubbio che i giocatori subentrati nel finale abbiano fatto più bella figura di chi li ha preceduti anche perché erano più freschi di avversari che giocavano da più di un'ora, e un'ora ad agosto?
Inoltre non è che nel finale siano entrati Iniesta e Modric, ma Ekdal e Saponara, cioè due giocatori che in Italia il massimo in carriera lo hanno dato con le maglie di Cagliari ed Empoli, senza riuscire a fare il salto di qualità se provati al livello di Juventus e Milan. Insomma due giocatori congrui a quel che si dice «la nostra dimensione».
Ma se «la nostra dimensione» è ridiventata ormai stabilmente quella di una squadretta che a null'altro di agonistico punta che a vivacchiare in serie A, perché al rassegnato mantra «la nostra dimensione» dovrebbe sfuggire il profilo del tecnico?
Ammettiamo pure che Giampaolo sia un mediocre, ma se davvero lo fosse sarebbe perfetto per la mediocrità che la Sampdoria, di là dalle frasi a effetto, si è data come obiettivo di classifica. Non si spera più in nient'altro che non sia il mero esistere, anzi è severamente sconsigliato farlo: e per gestire questo tran-tran si pretenderebbe un Guardiola, un Mourinho?
Terza obiezione: la Sampdoria di Giampaolo è fallimentare in trasferta. Obiezione emotiva, rispetto alla quale occorre far parlare i numeri.
E i numeri dicono che, dal ritorno in A del 2012, tolto l'anno di Mihajlovic chiuso con l'arrivo in Europa League, quando i punti in trasferta erano stati 25 (6 vittorie, 7 pari e 6 sconfitte), più o meno tutte le altre Sampdorie lontano da Marassi hanno sempre raccolto gli stessi punti:
16 con Ferrara-Rossi (3V-7N-9P)
19 con Rossi-Mihajlovic (5V-4N-10P)
12 con Zenga-Montella (2V-6N-11P)
18 e 15 nei due tornei fin qui gestiti da Giampaolo (4V-6N-9P nel 16/17, 4V-3N-12P nel 17/18).
Eccettuando sempre la stagione sinisiana, modesto lo scostamento anche nei punti totali e nei piazzamenti finali:
14ª con 42 punti nel 2013
12ª con 45 punti nel 2014,
7ª con 56 punti nel 2015
15ª con 40 punti nel 2016
10ª con 48 punti nel 2017
10ª con 54 punti lo scorso anno.
Il tutto partendo da una formazione titolare che, al momento del ritorno in A nel 2012, era la seguente: Romero, De Silvestri, Gastaldello, Mustafi, Costa, Poli, Obiang, Renan, Soriano, Eder, Icardi. Era più debole questa squadra di quella vista stasera a Udine?
Inoltre, sempre al momento del ritorno in A, in panchina c'era gente con cui ci si potrebbe divertire a comporre una squadra verisimilmente meno forte, ma non saprei quanto meno, di quella attuale. Eccola: Da Costa, Rodriguez, Rossini, Castellini, Berardi; Munari, Maresca, Palombo (Krsticic); Tissone; Pozzi, Maxi Lopez (Sansone).
Da questo bisogna partire, questo bisogna tenere a mente, per valutare il presente. Da quando è arrivato ad allenare la Sampdoria, partendo da una squadra che si era salvata alla penultima giornata perdendo un derby 0-3, finora Giampaolo ha sempre progredito pur vedendo via via partire giocatori come De Silvestri, Correa, Fernando, Soriano, Moisander, Skriniar, Fernandes, Muriel e Schick fino a Torreira, i cui sostituti non sono quasi mai stati alla loro altezza.
Se c'è una colpa che si può fare a Giampaolo, è quella di aver privato i tifosi dell'emozione profonda di tre anni fa, quando appunto la squadra aveva lottato per la salvezza per tutto il campionato.
Con lui ci si è messi al sicuro per due volte quasi con un girone di anticipo. E con due squadre non molto più forti del suo Empoli che giocava con Skorupski, Zambelli, Tonelli, Barba, Mario Rui; Zielinski, Paredes, Croce; Saponara; Maccarone, Pucciarelli. L'Empoli.
Se lo si lascerà lavorare alle sue condizioni, sarà così anche stavolta.

Cercare invece il più facile dei capri espiatori, per un non improbabile avvio in salita della stagione che dopo il Napoli in casa prevede la trasferta a Frosinone e l'Inter a Marassi sarebbe un peccato, ancor prima che un rischio.

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