martedì 21 agosto 2018

Lettera dalla fine del mondo



Ti scrivo dalla fine del mondo, non so se hai presente. Perché qui è finito il mondo, anche se in qualche modo anche stavolta lo faremo ricominciare, qui siamo bravi ad arrivare alla fine del mondo e scoprire, una volta lì, che tutto sommato si può proseguire.
È passata una settimana e mi sento molto più vecchio e molto più giovane, molto più vecchio perché non so quando potrò rivedere il Campasso e Certosa dall'alto, molto più giovane perché mi sono ritrovato a fare per la prima volta un mestiere che non avevo mai fatto, il mio mestiere di sempre cioè, però in un altro modo, io a volte penso di non essere un giornalista e a crederci mi aiutano quelli che mi dicono che da un lato sono troppo scrittore per essere giornalista e dall'altro troppo giornalista per essere scrittore, così non mi sento davvero né l'uno né l'altro e quindi non mi sento niente e nessuno, però un poco giornalista lo devo essere, perché appena riacquistata lucidità la prima cosa che ho pensato è stata: vediamo se in tv hanno bisogno di una mano.
Naturalmente avevano bisogno, era la vigilia di ferragosto e solo io ero già in città, e così mi sono trovato come il pianista di bordo che col mare grosso si trova a svuotare la stiva col secchio, ma lo dovevo per riconoscenza alla tv che mi ha aiutato a non finire nel buio e nella depressione dell'inutilità nel momento in cui ci stavo finendo, lo dovevo soprattutto al mio mestiere, un mestiere per cui non si presta giuramento ma che alla fine è un po' come fare il soldato.
E così sono andato lì, al fronte, col taccuino e la biro che non avrei praticamente usato, più le altre strumentazioni elettroniche che non avevo mai usato. Avrei voluto scrivere di questa fine del mondo che ci vede incolpevoli colpevoli sopravvissuti, ne ho scritto ma nelle mie pagine private, è stato come lasciare una candela accesa alla finestra, a parte scrivere non credo di saper fare quasi niente altro e anche lo stesso scrivere non deve riuscirmi troppo bene. Resta che quando sono andato là sotto, fin quasi a ridosso del vuoto che c'è al posto del ponte, ho provato un enorme scoramento, come quando da piccolo in un tendone da circo parcheggiato accanto alla canonica di Santa Maria avevo visto la mummia polverosa della balena Goliath, un cilindrone incerato che una volta era stato un cetaceo e dal mare era stato pescato, ammazzato, svuotato. Adesso stava lì, assomigliava a un gigantesco salume andato a male, un impresario circense lo portava in giro con un camion a rimorchio, molti anni dopo a Roma il cassiere del museo delle cere di piazza Venezia mi avrebbe detto che il signore che portava in giro la balena era suo padre, vai a capire se dicesse il vero.
Guardavo il vuoto alla metà del ponte, l'ho guardato anche ieri pomeriggio, è qualcosa che non si capisce più, sembra un trampolino da sciatori, oppure il palco di un'esibizione di quei matti con le macchine volanti, magari da un momento all'altro dal versante di levante sarebbe partito uno a tutta velocità e con un balzo nel vuoto sarebbe atterrato sulla parte superstite di ponente, quasi a replicare una scena di “C'era una volta in America”.

Ma il silenzio aveva vinto e non c'era una seconda possibilità per nessuno, quando ricostruiranno il ponte lo faranno completamente diverso, ci vorranno mesi e forse anni, nel frattempo invecchieremo ancora un po' e ci chineremo sul pozzo del tempo per cercare di vedere com'eravamo quando eravamo giovani, e andavamo avanti e indietro su quel ponte, senza pensare a quello che sarebbe potuto accadere e infatti è successo. Ci vorrà tempo per ricostruire noi stessi, ancor prima del Morandi che non si chiamerà più Morandi, forse Foster o Bofill o Calatrava o chissà chi, ci vorrà tempo per questa città che naviga contro vento e contro tempo. Intanto ti scrivo questa lettera dalla fine del mondo, pazienza se non leggerai nemmeno questa come tutte le altre che non ti ho scritto oppure ti ho scritto ma non ti ho spedito. La fine del mondo è un posto strano, sembra Genova prima della settimana scorsa, sembra Genova adesso, solo che Genova non sembra più Genova, non lo è mai sembrata, forse non è mai esistita perché è uno specchio infranto in cui ognuno vede se stesso, spero che tu mi raggiunga qui alla fine del mondo che ricomincia.

Nessun commento:

Posta un commento