Ti scrivo dalla fine del mondo, non so
se hai presente. Perché qui è finito il mondo, anche se in qualche
modo anche stavolta lo faremo ricominciare, qui siamo bravi ad
arrivare alla fine del mondo e scoprire, una volta lì, che tutto
sommato si può proseguire.
È passata una settimana e mi sento
molto più vecchio e molto più giovane, molto più vecchio perché
non so quando potrò rivedere il Campasso e Certosa dall'alto, molto
più giovane perché mi sono ritrovato a fare per la prima volta un
mestiere che non avevo mai fatto, il mio mestiere di sempre cioè,
però in un altro modo, io a volte penso di non essere un giornalista
e a crederci mi aiutano quelli che mi dicono che da un lato sono
troppo scrittore per essere giornalista e dall'altro troppo giornalista per essere scrittore, così non mi sento davvero né l'uno né
l'altro e quindi non mi sento niente e nessuno, però un poco
giornalista lo devo essere, perché appena riacquistata lucidità la
prima cosa che ho pensato è stata: vediamo se in tv hanno bisogno di
una mano.
Naturalmente avevano bisogno, era la
vigilia di ferragosto e solo io ero già in città, e così mi sono
trovato come il pianista di bordo che col mare grosso si trova a
svuotare la stiva col secchio, ma lo dovevo per riconoscenza alla tv
che mi ha aiutato a non finire nel buio e nella depressione
dell'inutilità nel momento in cui ci stavo finendo, lo dovevo
soprattutto al mio mestiere, un mestiere per cui non si presta
giuramento ma che alla fine è un po' come fare il soldato.
E così sono andato lì, al fronte, col
taccuino e la biro che non avrei praticamente usato, più le altre
strumentazioni elettroniche che non avevo mai usato. Avrei voluto
scrivere di questa fine del mondo che ci vede incolpevoli colpevoli
sopravvissuti, ne ho scritto ma nelle mie pagine private, è stato
come lasciare una candela accesa alla finestra, a parte scrivere non
credo di saper fare quasi niente altro e anche lo stesso scrivere non
deve riuscirmi troppo bene. Resta che quando sono andato là sotto,
fin quasi a ridosso del vuoto che c'è al posto del ponte, ho provato
un enorme scoramento, come quando da piccolo in un tendone da circo
parcheggiato accanto alla canonica di Santa Maria avevo visto la
mummia polverosa della balena Goliath, un cilindrone incerato che una
volta era stato un cetaceo e dal mare era stato pescato, ammazzato,
svuotato. Adesso stava lì, assomigliava a un gigantesco salume
andato a male, un impresario circense lo portava in giro con un
camion a rimorchio, molti anni dopo a Roma il cassiere del museo
delle cere di piazza Venezia mi avrebbe detto che il signore che
portava in giro la balena era suo padre, vai a capire se dicesse il
vero.
Guardavo il vuoto alla metà del ponte,
l'ho guardato anche ieri pomeriggio, è qualcosa che non si capisce
più, sembra un trampolino da sciatori, oppure il palco di
un'esibizione di quei matti con le macchine volanti, magari da un
momento all'altro dal versante di levante sarebbe partito uno a tutta
velocità e con un balzo nel vuoto sarebbe atterrato sulla parte
superstite di ponente, quasi a replicare una scena di “C'era una
volta in America”.
Ma il silenzio aveva vinto e non c'era
una seconda possibilità per nessuno, quando ricostruiranno il ponte
lo faranno completamente diverso, ci vorranno mesi e forse anni, nel
frattempo invecchieremo ancora un po' e ci chineremo sul pozzo del
tempo per cercare di vedere com'eravamo quando eravamo giovani, e
andavamo avanti e indietro su quel ponte, senza pensare a quello che
sarebbe potuto accadere e infatti è successo. Ci vorrà tempo per
ricostruire noi stessi, ancor prima del Morandi che non si chiamerà
più Morandi, forse Foster o Bofill o Calatrava o chissà chi, ci
vorrà tempo per questa città che naviga contro vento e contro
tempo. Intanto ti scrivo questa lettera dalla fine del mondo,
pazienza se non leggerai nemmeno questa come tutte le altre che non
ti ho scritto oppure ti ho scritto ma non ti ho spedito. La fine del
mondo è un posto strano, sembra Genova prima della settimana scorsa,
sembra Genova adesso, solo che Genova non sembra più Genova, non lo
è mai sembrata, forse non è mai esistita perché è uno specchio
infranto in cui ognuno vede se stesso, spero che tu mi raggiunga qui
alla fine del mondo che ricomincia.
Nessun commento:
Posta un commento