Poi
ogni volta, quando la polvere si posa e i cani dormono e tutto è
finito, cominciano i volti a comparire, a diventare domande. Guardano
all'obiettivo da un aquafan, da una cabina balneare, da un panorama a
colori accesi. Sono giovani donne, uomini giovani, sorridono tutti.
Accomunati da una bellezza inconsapevole, venata adesso di una sorda
crudeltà. Quelli che sorridono meno sono i bambini, fanno smorfie
per rovinare la foto, invece a modo loro la ravvivano. Non sanno e
non possono sapere che le loro espressioni, le loro boccacce
finiranno un giorno sulle pagine dei quotidiani. Da stamattina, ieri
mattina ormai, guardo questi volti, sconosciuti eppure familiari
nella fratellanza umana, le loro espressioni fisse e immutabili, a
loro modo definitive, riprodotte sui giornali e sui siti e
dappertutto: alludono a storie di cui non si sapeva il finale e
adesso lo conoscono tutti gli altri tranne loro, che ne erano i
protagonisti. Raccontano qualcosa di incompleto, ci chiedono di far
proseguire quel che avrebbero voluto essere, dire, fare. Rendono
questa notte ancora più notte, questo vuoto ancora più vuoto,
mentre la macchina spazzatrice romba nel vicolo e a tre chilometri da
qui si scava ancora, sotto la luce dei fanali ad alta potenza, dove
la polvere non si è posata e i cani inseguono tracce perdute, altri
volti, altre fotografie. Non dormono neppure i porcospini, in cerca
di un filo di pietà.
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