domenica 9 settembre 2018

Intrigo a Stoccolma



Va bene, ammettiamo pure che abbiano ragione quelli che dicono che gli italiani, in fondo in fondo, erano già fascisti prima del fascismo e dopo lo sono rimasti, nascondendosi più o meno astutamente per qualche decennio, con qualche trascurabile cedimento tipo le volte che sono andati al governo Prodi, D'Alema, Letta e Renzi, anche chi li aveva votati era fascista ma si era distratto un attimo.
Va bene, l'Italia è fascista, pazienza per quei pochi italiani che non lo sono. Credo peraltro che questo teorema assolutizzante valga soltanto declassificando il fenomeno storico del fascismo a semplice categoria contingente, allora sì che funziona: gli esseri umani in generale, ma gli italiani in particolare, amano andare a rimorchio del potente di turno, salvo scaricarlo con particolare ferocia autoassolutoria non appena il potente di turno abbia perso il potere.
Se l'Italia è inguaribilmente fascista, col resto d'Europa come la mettiamo? Specie adesso che l'aria che tira in tutta Europa ha preso a tirare anche in Isvezia, terra promessa della socialdemocrazia e dello Stato sociale realizzato, e insomma unico Paese dell'Europa occidentale che veniva preso ad esempio dagli attuali fautori di una visione del mondo che sarà quella giusta, posso anche riconoscerglielo, ma se davvero è quella giusta non si capisce perché non piaccia a nessun popolo europeo, a parte - male non fa ricordarlo - i fascisti italiani. Non c'è un Paese, uno solo dove gli elettori abbiano premiato una certa linea.
Se dice basta perfino la Svezia, tradizionale modello di società progredita sotto tutti i profili e quindi anche sotto quello dell'accoglienza, sarà il caso di farsi qualche domanda, sarà il caso di cominciare a chiedersi se l'ideologia di "Imagine" (via gli Stati, via le frontiere) sia bella per scrivere una canzone nemmeno troppo bella, la più sopravvalutata (ecco, l'ho detto) della storia del pop, ma calata nella realtà sia un disastro?
Non lo dico io, lo dice la Storia che, se ha una costante dagli Hyksos a oggi, è la seguente: più alti sono gli ideali che l'umanità si è data, più rovinosa e luttuosa e catastrofica è stata l'applicazione pratica dei medesimi ideali. Siamo bestie imperfette, ormai credo sia assodato, e quindi dovremmo sempre pensare al male minore, al bicchiere mezzo vuoto, a tirare avanti alla bell'e meglio. Invece no, vogliamo il paradiso in terra e lo vogliamo sempre in modo sbagliato.
Vedi che cosa è successo nel secolo scorso, nel più vasto esperimento istituzionale di realizzazione della felicità in terra, esperimento che casualmente riscuoteva - e direi tuttora riscuota - non poco consenso in quelle stesse fasce di opinione oggi riconvertitesi al "via gli Stati, via le frontiere", per un moto dell'animo molto freudiano che ha a che fare - temo - con quell'odio verso l'Occidente coltivato appunto nel secolo scorso e oggi portato avanti, con indubbia coerenza, glorificando lo strumento che sembra più utile per cancellare l'Occidente, quando invece - purtroppo - ci penseranno i cinesi.
Di fronte a quel che accade in Isvezia, sarebbe il caso di cominciare a chiedersi che cosa ci sia di sbagliato in un certo modo di vedere la realtà. In particolare, di domandarsi perché la cosiddetta "integrazione" nella vecchia Europa di quote più o meno consistenti di popoli allogeni con altre tradizioni, altre culture, altre religioni, funzioni poco o addirittura non funzioni affatto, producendo prima disagio e poi ostilità più o meno aperta.
Qualcuno dice che non si faccia abbastanza per "integrare"; qualcun altro pensa che sia impossibile "integrare" chi non voglia affatto "integrarsi"; altri ancora pensano che la richiesta di "integrazione" in cambio di accoglienza sia irricevibile, con tutte le conseguenze del caso.
Di fronte a tutto questo, l'obiezione conclusiva è sempre fintamente sconsolata: "ma tanto le cose andranno così, non ci si può fare niente". Può essere, ma non tutte le cose necessarie sono di per sé buone. Basterebbe riconoscere questo, per salvare almeno la Svezia dalla realtà.

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