Va
bene, ammettiamo pure che abbiano ragione quelli che dicono che gli
italiani, in fondo in fondo, erano già fascisti prima del fascismo e
dopo lo sono rimasti, nascondendosi più o meno astutamente per
qualche decennio, con qualche trascurabile cedimento tipo le volte
che sono andati al governo Prodi, D'Alema, Letta e Renzi, anche chi
li aveva votati era fascista ma si era distratto un attimo.
Va
bene, l'Italia è fascista, pazienza per quei pochi italiani che non
lo sono. Credo peraltro che questo teorema assolutizzante valga
soltanto declassificando il fenomeno storico del fascismo a semplice
categoria contingente, allora sì che funziona: gli esseri umani in
generale, ma gli italiani in particolare, amano andare a rimorchio
del potente di turno, salvo scaricarlo con particolare ferocia
autoassolutoria non appena il potente di turno abbia perso il potere.
Se
l'Italia è inguaribilmente fascista, col resto d'Europa come la
mettiamo? Specie adesso che l'aria che tira in tutta Europa ha preso
a tirare anche in Isvezia, terra promessa della socialdemocrazia e
dello Stato sociale realizzato, e insomma unico Paese dell'Europa
occidentale che veniva preso ad esempio dagli attuali fautori di una
visione del mondo che sarà quella giusta, posso anche
riconoscerglielo, ma se davvero è quella giusta non si capisce
perché non piaccia a nessun popolo europeo, a parte - male non fa
ricordarlo - i fascisti italiani. Non c'è un Paese, uno solo dove
gli elettori abbiano premiato una certa linea.
Se
dice basta perfino la Svezia, tradizionale modello di società
progredita sotto tutti i profili e quindi anche sotto quello
dell'accoglienza, sarà il caso di farsi qualche domanda, sarà il
caso di cominciare a chiedersi se l'ideologia di "Imagine"
(via gli Stati, via le frontiere) sia bella per scrivere una canzone
nemmeno troppo bella, la più sopravvalutata (ecco, l'ho detto) della
storia del pop, ma calata nella realtà sia un disastro?
Non
lo dico io, lo dice la Storia che, se ha una costante dagli Hyksos a
oggi, è la seguente: più alti sono gli ideali che l'umanità si è
data, più rovinosa e luttuosa e catastrofica è stata l'applicazione
pratica dei medesimi ideali. Siamo bestie imperfette, ormai credo sia
assodato, e quindi dovremmo sempre pensare al male minore, al
bicchiere mezzo vuoto, a tirare avanti alla bell'e meglio. Invece no,
vogliamo il paradiso in terra e lo vogliamo sempre in modo sbagliato.
Vedi
che cosa è successo nel secolo scorso, nel più vasto esperimento
istituzionale di realizzazione della felicità in terra, esperimento
che casualmente riscuoteva - e direi tuttora riscuota - non poco
consenso in quelle stesse fasce di opinione oggi riconvertitesi al
"via gli Stati, via le frontiere", per un moto dell'animo
molto freudiano che ha a che fare - temo - con quell'odio verso
l'Occidente coltivato appunto nel secolo scorso e oggi portato
avanti, con indubbia coerenza, glorificando lo strumento che sembra
più utile per cancellare l'Occidente, quando invece - purtroppo - ci
penseranno i cinesi.
Di
fronte a quel che accade in Isvezia, sarebbe il caso di cominciare a
chiedersi che cosa ci sia di sbagliato in un certo modo di vedere la
realtà. In particolare, di domandarsi perché la cosiddetta
"integrazione" nella vecchia Europa di quote più o meno
consistenti di popoli allogeni con altre tradizioni, altre culture,
altre religioni, funzioni poco o addirittura non funzioni affatto,
producendo prima disagio e poi ostilità più o meno aperta.
Qualcuno
dice che non si faccia abbastanza per "integrare"; qualcun
altro pensa che sia impossibile "integrare" chi non voglia
affatto "integrarsi"; altri ancora pensano che la richiesta
di "integrazione" in cambio di accoglienza sia
irricevibile, con tutte le conseguenze del caso.
Di
fronte a tutto questo, l'obiezione conclusiva è sempre fintamente
sconsolata: "ma tanto le cose andranno così, non ci si può
fare niente". Può essere, ma non tutte le cose necessarie sono
di per sé buone. Basterebbe riconoscere questo, per salvare almeno la Svezia dalla realtà.
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