mercoledì 3 ottobre 2018

Il bancario, il sindaco e i Koryak della Siberia Orientale


Mentre un direttore di banca friulano viene condannato per aver erogato prestiti ai clienti meno abbienti attingendo dai conti dei correntisti più facoltosi, un sindaco calabrese finisce agli arresti con l'accusa di aver organizzato e celebrato matrimoni finti per il permesso di soggiorno.
Da Udine a Locri non c'è distanza, almeno nella visione dei due personaggi interessati, convinti che la legge possa e anzi debba essere aggirata o meglio violata, purché «a fin di bene».
Infatti sui media i protagonisti della vicenda vengono trattati benevolmente, con simpatia prossima all'agiografia, come due romantici giustizieri ribelli impegnati nella causa del bene contro il male.
Tocca allora ricordare come la legge nasca proprio per raggiungere un punto di mediazione, il meno approssimativo possibile, tra le molteplici visioni di bene e di male, che non sono fatti ma valori e come tali relativi.
Un solo esempio. In alcuni Stati l'infedeltà coniugale è punita per legge, in molti Paesi è un comportamento che desta semplice riprovazione sociale, in talune comunità o popolazioni l'uomo accoglie l'ospite offrendogli in regalo una notte con la moglie, con il caso limite dei Koryak stanziati in Siberia orientale: il rifiuto da parte dell'ospite è offesa talmente grave da contemplare la vendetta di sangue in segno di riparazione.
E veniamo al bancario e al sindaco.
Il primo ha dimostrato di tener poco conto delle regole elementari su un istituto giuridico canonico come la proprietà privata. È noto che per alcuni la proprietà privata sia un furto, per altri sia invece un diritto intangibile. La nostra Costituzione non sceglie né l'una né l'altra strada, nell'articolo 42 in cui ne delinea i «limiti» e la «funzione sociale», affidati a legge ordinaria. Nel nostro ordinamento, tuttavia, è illegale per il custode del denaro altrui farne un uso arbitrario a beneficio di terzi, sulla base della fiducia nella tempestiva restituzione.
La legge non risponde esplicitamente alla domanda valoriale se la proprietà privata sia o no un furto oppure, come dice Antonio Negri, «disdicevole». Ma la riconosce.
Quanto al sindaco, gli stessi che si affannano a spiegare come l'immigrazione non sia un problema, perché fenomeno aritmeticamente marginale, non fanno che parlare di immigrazione finendo per ingigantire loro stessi un tema che pure vorrebbero secondario. Non è colpa del sindaco se il suo esperimento sociale, che fondava la sua presunta riuscita anche sui numeri limitati, era stato appunto stentoreamente presentato al Paese e al mondo come modello virtuoso, da contrapporre alla gretta e miope chiusura dei flussi. Ma se adesso vengono fuori vicende incommendevoli, come zitelloni e perfino disabili arruolati per nozze di comodo, fino al paradosso (scoperto ab origine e fonte primigenia dei guai) del fratello della compagna etiope ingaggiato come pseudo-sposo della sorella ai fini di aiutarlo ad arrivare e restare in Italia, la favola non sembra avere lieto fine e comunque non è una favola.
Che cosa c'entra la legge? C'entra perché è il tentativo, forzosamente imperfetto, di regolare nel modo più lineare e indolore la convivenza. E la nostra legge dice sia che i soldi degli altri non si toccano senza che i proprietari lo sappiano, sia che i matrimoni fasulli sono reato.
A poco valgono le attenuanti della buona fede, peraltro assente (entrambi sapevano di commettere illeciti), o della nobile causa.
Chi stabilisce, infatti, che sia “nobile” una causa piuttosto che un'altra? Mai come nella nostra epoca corrono due visioni contrapposte della società, quantitativamente difficili da definire: c'è chi pensa che i popoli debbano mescolarsi il più possibile e chi invece pensa che ogni popolo debba preservare in assoluto la propria identità. Chi può dire quale delle due visioni sia quella “buona”, quale quella “giusta”? Nessuno. Si tratta di giudizi di valore. La legge esiste proprio per mediare tra gli innumeri giudizi di valore. E non esiste più il rischio che una legge formalmente valida ma sostanzialmente aberrante, come le famigerate leggi razziali, possa entrare in circolo nel sistema: esiste una Costituzione rigida molto ben scritta e ricca di garanzie, e a vigilare sulla Costituzione c'è un apposito organo giurisdizionale che giudica le leggi, cancellando quelle contrarie ai principi costituzionali.
Infrangendo il principio per cui la legge va rispettata, specialmente quella sgradita, si apre la strada al caos. Con quale diritto il bancario di Udine o il sindaco di Locri, domani, potrà dire che sbaglia l'automobilista che corre a 220 in autostrada «perché la mia fuoriserie è potente e sulla terza corsia non c'è nessuno»? Il contribuente che froda il fisco «perché le tasse sono troppo alte ed è ingiusto essere sottoposti a una simile pressione tributaria»? Il passeggero che non fa il biglietto sul bus «perché il servizio fa schifo e non è giusto che venga pagato»?
Se ognuno si ritenesse titolato a decidere da solo che cosa sia bene e che cosa sia male, per se stesso e per gli altri, non ci sarebbe neanche bisogno di uno Stato. Qualcuno sostiene che sarebbe meglio, ma a permettergli di dirlo senza che nessuno glielo proibisca è appunto lo Stato, con le sue leggi costituzionali e ordinarie sulla libertà di opinione e di parola. Se ognuno si ritenesse titolato a decidere da solo che cosa sia bene e che cosa sia male, per se stesso e per gli altri, nel giro di poco tempo servirebbe qualcuno che facesse ordine in tutta questa confusione di persone, ognuna delle quali convinta di sapere che cosa sia bene e che cosa sia male. E saremmo daccapo.

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