Quando
mi guardi, per molti dettagli ho come l'impressione di essere
guardato da uno specchio; e a uno specchio non si può dire nulla che
già non si sappia. Fino a qualche giorno fa non sapevo che cosa
dirti, non sapevo che cosa mi avresti detto e quale significato
trarne, cercare di decodificare i tuoi segnali in arrivo da una
vicinanza sempre più lontanissima usando sempre una specie di
setaccio tipo quello dei cercatori d'oro, per discernere le rare
pagliuzze luccicanti, oramai assediate da un principio di ossidazione
chimicamente incomprensibile, dai sassolini e dai cocci di bottiglia
e magari dalle bisce d'acqua. Fino a qualche giorno fa non sapevo che
cosa dirti, adesso non so come dirti qualcosa. Quando mi guardi dal
tuo specchio, che non è uno specchio ma sei tu, e chissà se vedi me
davvero, chissà che cosa vedi, finisce che ti dico sempre le stesse
cose, le stesse parole, come monete fuori corso emesse da uno stato
che non esiste più. Così non ti dirò neppure la cosa che non c'è
bisogno di dirti, l'hai capita anche senza capirla, l'hai intuita in
qualche modo e mi guardi come per raccomandarmi di non preoccuparti,
la tua preoccupazione anzi la vostra era che io non mi preoccupassi,
ed eccomi qui, a non dirti nulla. O meglio a dirtelo senza dirtelo,
ma lo sai già e non lo sai, nel paese delle nuvole che non portano
pioggia.
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